4. Milan to Cape Project: Part I 2009

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Popped by to see our Friends in Pirelli Izmit, Turkey (Above). “Hey! Remember us? Any chance we can get anymore of those great CEAT Tyres”, we asked. “What for?”, they replied “You have plenty of mileage left on the old ones”. The were right!

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Quick Stop in Aleppo, Syria (Above) on a Friday afternoon for some good Tahini. Ulema was calling all faithfuls for evening prayers. We were on a mission: Reach Aswan in 7 days for a ferry ride to Sudan. If we missed it we would have been stuck for a week and probably would hae never made it past Egypt.

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Below a travel diary by Gas Fontana-Rava. Check Back later because we will soon be posting the Japanese Translation from Benja Cremante.

3 Uomini e Justine

Justine e’ un’anziana giapponese.

Piccola, come le facevano una volta, ma anche resistente, come le facevano una volta. La pelle olivastra, sbiadita e un tatuaggio rosso sul fianco.

Justine e’ segnata dagli anni, impossibile negarlo. Non si muove piu’ spedita come una volta.

Justine e’ bella. Neanche questo le si puo negare.

Bella, di una bellezza passata. Tratti spigolosi, quasi squadrati.

Modesta, umile, ma sicura di sé e, se serve, strafottente.

Justine ha 3 cilindri.

Justine e’ una Subaru Justy dell’87 che ci portera’ in Africa.

Da Milano fino a Nairobi. In 30 giorni!

Si parte senza passaporti perche’ l’ultimo visto, quello Sudanese, ce lo avrebbero timbrato all’Ambasciata di Washington. A Roma ci sarebbe voluto un mese buono per averlo e il ritardo avrebbe compromesso il viaggio.

Da Washington i passaporti sarebbero volati a Istanbul, all’Hotel Marriot, dove li avremmo recuperati qualche giorno dopo.

Ogni giorno e’ prezioso perche’ tra Egitto e Sudan bisogna prendere un traghetto che parte una sola volta alla settimana.

Ogni Lunedi.

E il nostro Lunedi’ e’ l’11 Agosto.

-Avete controllato se riusciamo ad arrivare fino in Turchia con la carta d’identita’?

-Non c’e’ problema, tutta europa fino a li. Ho guardato io!

E allora si parte veramente.

Justine carica come un mulo.

Taniche di benzina, Gomme cerchiate, Pale, Verricelli, Crik, Pattini da sabbia, Catene, Tende, Sacchi a Pelo.

E oltre a questo I 90kg di Ben, gli 80kg di Rendi e I miei 76. Prima dell’Africa si intende…

Tutti d’accordo che alle 3 di pomeriggio bisogna essere in partenza.

Alla fine l’ultimo zaino lo carichiamo alle 2 di mattina. E’ il 2 Agosto. Via Elvezia. Milano.

-Ci siamo?

-Partiamo cazzo, non ce la faccio piu’

Partiamo in direzione Trieste.

Lo schema e’ il seguente.

Uno al volante. Uno fa il co-pilota (ruolo importante perche’ la funzione e’ duplice: guardare la mappa ma soprattutto tenere sveglio il pilota).

Il terzo dorme sdraiato dietro.

Ora di Trieste, e da qui fino alla fine del viaggio, lo schema viene leggermente modificato:

Uno guida, guarda la cartina e si tiene sveglio.

Gli altri 2 dormono.

Trieste in un baleno, albeggiante, e da qui Slovenia, poi Croazia, fino al confine con la Serbia.

Alla dogana ci accoglie una splendida poliziotta bionda.

Sorride.

Noi sorridiamo.

Le passiamo le 3 carte d’identita’.

A questo punto si mette a ridere.

Ci guarda e dice qualcosa in lingua locale.

Poi esce dal casotto, fa cenno di seguirla, ci fa fare un’inversione completa, ci restituisce I documenti e ci fa cenno di andare.

-Rendi dove l’hai letto che in Serbia non serve il Passaporto?

-Su Google…

-Ma vaffanculo

Il traghetto Egipto-Sudanese sembra un po piu’ lontano e sempre meno raggiungibile.

Non ci rimane che fare la strada lunga. Dalla Croazia in Romania e poi Ungheria e Bulgaria fino al confine Turco.

Ci fermiamo a consultare le cartine in un autogrill. Tutto sommato la deviazione non ci dovrebbe costare piu’ di qualche centinaia di chilometri.

Tutta salute per Justine.

Giorno e Notte iniziano a confondersi.

O guidi o dormi.

Ogni tanto mangi.

Poi ti riaddormenti fino a quando qualcuno ti sveglia per passarti nuovamente il volante.

E cosi attraverso la Romania, l’Ungheria, la Bulgaria e poi la Turchia, fino a Istanbul.

E’ la mattina del 4 Agosto quando arriviamo al Marriot di Istanbul. Sono passati solo 2 giorni dalla partenza. Km sul parziale: 2648.

I Passaporti non ci sono.

Ci spostiamo dalla reception alla sala computer. Guardiamo su internet dove scopriamo che sono arrivati ma rifiutati dall’hotel.

Proviamo a comunicare con i signori della reception che non sono assolutamente abituati ad avere nella loro hall tre 25enni sporchi, con la barba che iniza a crescere, vestiti da vagabondi.

Giochiamo questa carta a nostro vantaggio.

La prima regola del ‘prontuario diplomatico-strategico di viaggio’, coniato da Rendi, e’ la seguente:

Regola 1: Se sei scomodo faranno di tutto per liberarsi di te il prima possibile. Se questo gioca a tuo vantaggio, cerca di essere il piu’ scomodo possibile.

Questa regola era gia’ stata applicata, con successo, al confine Turkmeno Kirgizo di un viaggio precedente, dove Rendi si era messo a scorreggiare nell’ufficio immigrazioni per ottenere il visto piu in fretta.

Nello specifico siamo svaccati sul divano centrale della hall, Ben in canotta, tutti e tre in ciabatte con I piedi sul tavolino. Siamo la prima cosa che chiunque entri nell’albergo vede.

Iniziamo a giocare a Risiko.

Siamo davvero brutti da vedere.

Presto se ne accorgnono anche alla reception e, tempo 2 telefonate, vediamo arrivare l’omino dell’UPS con il nostro pacco.

Lo apriamo.

3 passaporti con il luccicante visto del Sudan!

Ci abbracciamo.

Salutiamo I signori della reception che sono piu’ contenti di noi (di vederci andare via) e ripartiamo.

La stessa sera arriviamo ad Ankara e poi tagliamo verso sud, direzione Siria.

Guidiamo ininterrotamente fermandoci solo per mangiare e fare i cambi al volante.

Dietro si dorme malissimo con le gambe accartocciate o con i piedi fuori dal finestrino, ma rimane comunque il posto preferito da tutti.

La mattina arriviamo al confine con la Siria. Primo spiraglio veramente esotico del viaggio e prima occasione per utilizzare il famigerato ‘Carnet de Passage en Douane’. Un papiro burocratico di una ventina di pagine che ti permette di portare la macchina in molti paesi dell’africa e dell’asia. In poche parole, il passaporto di Justine.

Il paesaggio iniza a farsi piu desertico, lo stile di guida degli indigeni a peggiorare, ma le strade sono quasi tutte buone.

Ci fermiamo ad Aleppo a mangiare.

E’ una citta’ caotica, mediorientale con un Suk labirintico e una cittadella fortificata che domina la citta’.

Impariamo subito a fare le rotonde in stile autoctono, che ricorda vagamente quello pugliese:

Se ti conviene farla in senso antiorario, bene, ma se ti conviene farla in senso orario, bene anche cosi.

Ci fermiamo a mangiare Riso, Humus e Tabule in una terrazza del Suk e poi iniza l’esplorazione della citta’.

Il caldo si fa setire e dopo un paio d’ore di camminata ci sediamo sugli scalini di un negozio di stoffe a riposarci e a godere di un po’ di ombra.

Passano 5 minuti e dal negozio esce un ragazzo con 3 bicchieri d’acqua.

Ringraziamo e beviamo.

Passano altri 5 minuti e il ragazzo esce nuovamente per invitarci ad entrare nel negozio.

Accettiamo volentieri.

Ci offrono te’, poi caffe’ siriano, poi ancora te’.

Iniziamo a parlare con il proprietario.

Un signore distinto, sulla quarantina, con una camicia di Ralph Lauren e la barba curata.

Non parla bene l’inglese e quindi chiama un suo amico.

Lo prega di venire a fare da traduttore.

Poco dopo arriva. Sam. Ciccione, con la faccia simpatica. Parla l’inglese benissimo perche’ e’ stato in america diversi anni.

Ci spiega che siamo fortunati perche’ il nosro ospite, e’ il fratello del grande Mufti di Siria.

Una specie di Papa mussulmano.

Sam continua a tradurre le parole del fratello del Mufti.

Noi ascoltiamo.

Il tempo passa, arriva da mangiare, ci fanno vedere tutto il negozio, ci parlano della loro cultura, Sam insiste per farci vedere il suo ufficio e, prima di lasciarci andare, ci regalano 3 asciugamani perche’ ‘in Sudan fara’ molto caldo’.

Queste cose in Europa non succedono…

Sfiliamo Damasco senza vederla e la mattina del 6 agosto entriamo in Giordania.

-Quanto manca ad Amman

-Un centinaio di chilometri

-E al Mar Morto

-Al Mar Morto manca una vita…

In realta’ molto meno. Alle 10 ci siamo.

Dentro!

Sensazione incredibile. L’acqua e’ salatissima e ,quindi, si galleggia.

Se provi a sdraiarti hai il busto e le gambe completamente fuori dall’acqua.

Non riusciamo a smettere di ridere.

Quando esci devi correre sotto la doccia, altrimenti rimani ingessato.

Di fronte, sulla sponda opposta, c’e’ israele che troneggia.

La sera stessa arriviamo ad Aquaba.

Il nome ricorda Lawrence d’Arabia, ma in realta’ e’ una citta’ modernissima con Mc Donalds e Starbucks.

In questo punto del Mar Rosso confinano 4 paesi: Arabia Saudita, Giordania, Israele ed Egitto, ma per poter passare dalla Giordania all”Egitto bisogna prendere un traghettino. Il tragitto dovrebbe durare qualche ora.

Il nostro parte verso l’una di notte e la mattina dopo siamo a Nueiba in Egitto.

Sono passati 6 giorni dalla partenza.

Abbiamo fatto quasi 5000km e abbiamo attraversato 8 paesi.

Un bambino della dogana smartella 2 targhe gialle egiziane su Justine e dopo 4 ore e parecchi dollari di sdoganamento, facciamo tutta la costa orientale del Sinai fino a Sharm el Sheik.

Rendi 5 anni prima era istruttore di Sub, qui a Nama Bay, e I suoi ex colleghi ci accolgono a braccia aperte.

Rimaniamo 2 giorni e una notte a mangiare, bere e fare immersioni.

Una pausa un po lunga ma tutto sommato abbiamo ancora 2 giorni per risalire il Sinai fino a Suez, scendere prima sul mar rosso e poi sul nilo, fino ad Aswan dove il 10 ci aspetta il traghetto per il Sudan.

L’attraversamento dell’egitto e’ incredibile.

Siamo nel deserto.

Anzi, siamo nel Deserto con la S maiuscola: Il Sahara.

All’altezza di Quseir lasciamo la costa e tagliamo sul Nilo prima di arrivare a Luxor.

Arriviamo a Luxor la sera del 9. Siamo stanchi e affamati.

Al ristorante ce la prendiamo con calma e quando ci rimettiamo in macchina e’ gia mezzanotte.

In egitto ogni 20km ce’ un checkpoint. Ti controllano I documenti. Ti controllano la faccia. Ti prendono per il culo se hai la macchina piccola, ma sono comunque amichevoli e sorridenti.

Al checkpoint di Luxor succedono tutte queste cose, ma contemporaneamente ci informano che la strada rimarrà chiusa da mezzanotte fino alle 6 del mattino dopo.

-Non ci credo e ora cosa facciamo?

-Proviamo a insistere. Ci deve essere un modo.

-Mr Officer, we have to take a Ferry tomorrow from Aswan, please let us through

-I am zorry, Bassbort is good but road is closed. Only way is tourist police convoy

-Ben che cazzo vuol dire?

-Vuol dire che se viene un poliziotto turistico con noi possiamo passare

Torniamo nel centro di Luxor. Visitiamo 3 uffici della polizia. Facciamo svegliare le massime cariche locali, ma non ce niente da fare. Non c’e’ modo.

Ritorniamo al checkpoint e chiediamo se possiamo dormire li in macchina fino alle 6, cosi da non perdere tempo.

Permesso accordato.

Ci addormentiamo tutti.

Anzi no.

Rendi fuma l’ultima sigaretta.

Dopo qualche minuto si inizia a sentire puzza di bruciato.

Non sara’ questo a svegliarmi.

Dopo ancora qualche minuto si sente la porta dietro che sia apre di scatto.

-Sei tu che prendi fuoco Rendi?

-Si cazzo!

Ci fa vedere i pantaloni che hanno un buco di circa 5 centimetri di diametro.

Niente di grave.

Anzi, non riusciamo piu’ a smettere di ridere. Io e Ben si intende.

Alle 5.50 ci facciamo offrire un te’ dai poliziotti del check point e alle 6.00 siamo in partenza.

Dopo un paio d’ore siamo ad Assuan, in tempo per imbarcarci!

Mr. Salah e’ l’uomo del traghetto. Con il suo pupino Harith passiamo la giornata a fare le pratiche doganali.

La sera saliamo sul traghetto della disperazione!

I traghetti sono 2.

Uno per la macchina, praticamente una zattera.

L’altro per gli umani. Poco meglio.

3 piani e un ponte esterno.

I servizi di bordo comprendono un bar che vende acqua e coca e una mensa sghemba con panchette di ferro che serve zuppa di fave, pane e formaggio.

Gli unici bianchi siamo noi.

A bordo ci sono Siriani, Egiziani, Nubiani, Tunisini, Sudanesi, Marocchini.

Non tutti con facce raccomandabili.

Il tragitto, sulla carta, dura una una notte e poi fino al pomeriggio del giorno dopo.

Ma solo sulla carta, perche’ il giorno dopo, all’alba, succede l’irreparabile.

Ci svegliamo sul ponte perche’ tutti stanno urlando. Guardano in acqua. C’e’ tensione.

Un Egiziano grosso con 2 salvagenti corre su e giu. Non sa da dove buttarsi.

Finalmente si vede qualcosa galleggiare in lontanza. Io penso che sia un pacco cascato a qualcuno. L’Egiziano si tuffa e iniza a nuotare verso il pacco.

Siamo tutti sul bordo del traghetto a guardare.

Quando si avvicina mi tranquillizzo perché sono sicuro che sia semplicemente una scatola di cartone.

L’egiziano lo capovolge.

E’ un uomo.

Silenzio. Smettono tutti di urlare.

Il corpo viene riportato a bordo.

Dicono che sia ancora vivo ma dopo una mezzora confermano che sia morto.

C’è chi sostiene che si sia suicidato buttandosi con la valigia. Altri dicono che stava parlando al telefono e che sia caduto accidentalmente.

La barca torna indietro, direzione nord, fino ad Abu Simbel, dove sale a bordo la polizia per prendere il corpo, interrogare quelli che hanno visto, ascoltare quelli che hanno sentito.

Da qui I poliziotti andranno fino ad Aswan in macchina e poi torneranno per autorizzare la ri-partenza della barca.

11 ore.

11 ore di attesa.

Dopo 3 ore siamo tranquilli.

Dopo 5 inizamo a preoccuparci.

Dopo 6 qualcuno iniza a litigare con I poliziotti a terra.

Dopo 8 ore ci stiamo cagando sotto.

Ci mettiamo in contatto con l’ambasciata Italiana in Egitto, tramite gli amici di Sharm el Sheik.

Proprio nel momento in cui ci richiama il consolato e gli stiamo spiegando la situazione, arrivano I poliziotti e sbloccano la barca.

Tutti esultano.

Noi ci tranquilliziamo.

La barca riparte e in poche ore siamo a Wadi Halfa.

Sudan!

A Wadi Halfa perderemo 2 giorni pieni.

Il primo ad aspettare che arrivi la zattera con la macchina.

Il secondo ad aspettare che tirino giu’ tutto dalla zattera prima di liberare la macchina.

Tempistiche Africane…

Nell’attesa passiamo il nostro tempo con il doganiere Maddi che ci ospita a casa sua, ci presenta la sua famiglia, ci da mangiare e ci mostra la moto che si e’ portato via dalla dogana.

E’ una BMW R75 degli anni 70, abbandonata li dalla famiglia di un viaggiatore tedesco che mentre era al fianco della sua moto a filmare una iena e’ stato attaccato e poi mangiato.

La storia l’hanno ricostruita grazie alle immagini trovate nella videocamera, e la moglie ha deciso di lasciare li la moto che, dal 1994, e’ rimasta nel cortile di casa di Maddi.

Il 13 agosto siamo finalmente di nuovo in macchina.

Il Sudan, contrariamente all’opinione comune, e’ asfaltatissimo. Le persone sono cordiali, generose e poco invadenti.

Il Nilo scorre in mezzo al deserto, con 2 file di palme su ogni lato.

Justine macina chilometri e chilometri e la lancetta della temperatura dell’acqua non arriva mai oltre I tre-quarti di corsa.

Soffriamo molto di piu’ noi.

Quando ci fermiamo a comprare l’acqua prendiamo sempre una dozzina di bottiglie. Alcune vanno nel serbatoio di scorta, che si trova nel baule, e le altre nel frigo cinese attaccato all’accendisigari.

Il sudan lo attraversiamo in fretta. Visitiamo le piramidi di Meroe e la Sabbaloka Cataract. La sesta cataratta del Nilo. A detta di tutti uno spettacolo imperdibile.

Per raggiungerla perdiamo una giornata intera. Strade di sabbia, indicazioni inesatte, tolle ondule, piste biforcute , una guida che sembra sappia solo lei dove si trovi la cataratta.

Dopo una mezza odissea finalmente giungiamo a destinazione.

La nostra guida si affaccia sul bordo del nilo e con fare solenne dice –Ecco la Sabbaloka Cataract.

Ci avviciniamo anche noi al bordo, curiosi e impazienti. Raggiungiamo la Guida e guardiamo oltre le palme.

Non c’e’ un cazzo!

Ma proprio nulla.

Niente di niente. Forse giusto un paio di mulinelli nell’acqua.

Chiediamo spiegazioni alla guida e lui ci risponde che l’acqua e’ bassa in questo periodo dell’anno.

Ma vaffanculo.

Per consolarci ci buttiamo in acqua. Cosi dopo il Mar Morto, il Mar Rosso, possiamo mettere una crocetta anche sul Nilo.

Ripartiamo delusi alla volta di Khartoum, dove I 2 nili (Azzuro e Bianco) si uniscono e da qui via verso il confine con l’Etiopia.

E’ il 16 mattina quando entriamo dal confine di Gallabat.

La cornice cambia radicalmente.

Il deserto e’ stato inghiottito da una gigantesca catena montuosa. Il paesino piu basso e’ a 1.500 metri. I bambini ti rincorrono per centinaia di metri urlando You You o Faranji (Straniero). I bambini un po piu grandicelli hanno I capelli Rasta e si fumano le canne dal mattino alla sera. Questo spiega, almeno in parte, come mai al ristorante ci mettano 1 ora a portarti da mangiare. Piove ininterrotamente. Fa freddo e nei paesini tutti portano un fucile appeso sulla spalla.

Era quasi meglio il caldo.

Facciamo trekking nelle Siemens Mountains dove dormiamo a 3.200 metri, vediamo I babbuini e ci prendiamo una caterva d’acqua.

Da qui tutti malati. Tosse o raffreddore.

Rendi e Ben mangiano spaghetti al sugo, sostenendo che sia un piatto locale.

Quando poi dal nord decidiamo di dirigerci verso il sud dell Etiopia, in direzione Kenya, iniziano I problemi.

Sono gia’ un paio di giorni che la macchina fa un rumorino strano e, quando decidiamo di fermarci a far benzina e lavare la macchina, abbiamo la malaugurata idea di chiedere indicazioni per un meccanico.

Siamo a Gondar.

Purtroppo non seguiamo la seconda regola del ‘prontuario diplomatico-strategico di viaggio’ coniato da Rendi:

Regola 2: I problemi si creano nelle periferie e si risolvono nella Capitale

Se l’avessimo seguita le cose sarebbero andate diversamente.

Perdiamo 3 giorni con altrettanti meccanici di periferia che ci mettono a posto (se cosi si puo dire) I giunti sferici e ci saldano piu volte una molla della sospensione.

Gli attrezzi preferiti da questi meccanici erano I piu svariati, ma nella graduatoria finale si posizionano cosi:

Al primo posto, utilizzata ampiamente e nei modi piu fantasiosi, la spranga d’acciaio.

Al secondo posto al photo-finish, l’immortale: il martello.

Al terzo posto, ma per molti motivi si sarebbe meritato il primo, l’inaspettato: ago e filo.

Quando finalmente ci scordiamo dei meccanici, lasciandoci alle spalle gli incubi di quelle riparazioni invasive e ci apprestiamo a continuare il viaggio, troviamo un’altro imprevisto a rallentarci.

La strada appena dopo Debremarkos, in direzione Addis Abeba, e’ allagata. Il fiume ha completamente sommerso il ponte che lo attraversa e solo I camion riescono a passare.

Torniamo indietro a DebreMarkos dove ci aspetta un’altra notte d’albergo e di Risiko.

Il giorno dopo passa la pioggia, il fiume si calma e la strada e’ di nuovo percorribile.

Raggiungiamo Addis Abeba.

La citta’ e’ disordinata. Le strade sono piene di buche, e spesso non asfaltate.

Tentiamo di riparare i danni causati dai meccanici, mettendo una molla nuova e dei giunti nuovi.

Il negozio che ci vende la sospensione, successivamente ribattezzato ‘Paradiso della Molla’, e’ un locale di 2 metri per 2, con una lampadina appesa e una cascata di molle di ogni dimensione che parte da uno scaffale e finisce praticamente sul bancone. Il negoziante cammina, anzi nuota, nelle molle e ci si immerge per scovare quella giusta.

Il 23 Agosto ripartiamo alla volta del Kenya. Guidiamo un giorno e una notte prima di ragiungere Moyale.

Citta di confine e ultimo centro abitato prima del deserto kenyota e delle Plains of Darkness.

Da qui prima di raggiungere nuovamente la civilta’, bisogna attraversa una distesa desertica di 350chilometri senza asfalto, a detta di tutti impraticabile con la nostra macchina, e popolata dai predoni.

Vengono piu persone a offrirci il servizio di rimorchio della macchina su un camion.

Tutto ad un tratto sembra che tutti abbiano un camion vuoto pronto per portarci oltre il deserto.

Prima chiedono 700 dollari, poi scendono a 600, con un ulteriore contrattazione e, mettendo in competizione le diverse offerte, arriviamo a 300 dollari, ma da li non si scende.

Non sappiamo bene cosa fare.

Alla fine facciamo benzina, e partiamo.

Fanculo ai pessimisti.

350km di solito si fanno in poco piu di 3 ore.

Noi ci abbiamo messo 3 giorni!

Con medie di velocita’ che toccavano I 7km/h.

La strada era sagomata da continui avvallamenti scavati dai camion e per non far toccare il fondo a Justine eravamo costretti a guidare con 2 ruote sul bordo della strada e le altre due in mezzo ai solchi.

Justine era praticamente inclinata a 45 gradi.

Poi quando finalmente si appiattiva la strada iniziava il tolle ondule: cunette scavate dalla pioggia, una via l’altra per chilometri e chilometri. Come i dossi per far rallentare le macchine nelle citta’.

Abbiamo usato come boe 2 paesini (gli unici 2) in mezzo al deserto. Arrivavamo al tramonto e ripartivamo all’alba per riuscire a coprire il pezzo fino al paese dopo senza dover viaggiare di notte.

Justine ha tenuto duro, di Predoni neanche l’ombra, e finalmente arriviamo a Isiolo il 26 Agosto.

Rapida Cena e poi si riparte verso il Masai Mara.

Tra Isiolo e il Masai Mara c’e’ l’Equatore.

Ben accende il suo orologio GPS e inizia il countdown.

N 00 00 500

-Ragazzi ancora un po. Ci siamo quasi

N 00 00 320

-Ohh ci siamo. Ci siamo.

S 00 00 380

-Noo cazzzo siamo andati oltre torna indietro

N 00 00 300

-Oh siamo oltre di nuovo

Continuiamo cosi per una decina di minuti.

Poi alziamo tutti lo sguardo dal GPS.

-Ma c’e’ il cartello coglioni

E’ festa. Ci abbracciamo. Scendiamo dalla macchina. Facciamo foto e rimaniamo li un buon quarto d’ora a chiederci se ora vedremo la croce del sud e non vedremo piu la stella polare e se il gioco degli stuzzicadenti che ruotano funziona veramente.

Alla fine abbiamo attraversato un tropico e l’equatore in meno di un mese.

Guidiamo tutta la notte e il pomeriggio dopo arriviamo al Talek gate della riserva del Masai Mara.

Un nome che parla da solo.

In Agosto 1 milione di Gnu (4 milioni di zoccoli di gnu) e altrettante zebre migrano dal Serengheti in Tanzania al Masai Mara in Kenya portandosi dietro tutti I predatori della savana.

Facciamo in tempo a fare un breve giro dentro al parco quel pomeriggio ripromettendoci di fare una giornata intera il giorno dopo.

Lo spettacolo e’ incredibile. Colline e vallate piene di animali che pascolano e che ti attraversano la strada. Zebre, Gnu, Bufali, Giraffe, Imbala, Cinghiali ed Elefanti.

E quella stessa sera prima di uscire dal parco riusciamo a vedere 4 Leonesse a caccia.

Fanno qualche passo, mimetizzate nell’erba bruciata della savana, e poi si fermano per diversi minuti. Poi altri passi e poi ferme di nuovo.

Avanzano lentissime e assolutamente invisibili.

Quella sera dormiamo in tenda appena fuori dal Talek gate.

La mattina dopo ci svegliamo, relativamente presto, pronti per una intensa giornata al Masai Mara.

La Macchina era davanti alla tenda. Come sempre carica come un mulo. Oltre alle taniche e alle gomme di scorta, sul tetto poggiava una sacca piena di attrezzi necessari a tirare la macchina fuori da situazioni di emergenza: tappetini per uscire da isabbiamenti e infangamenti, catene da neve, verricello per attaccarsi a un albero con winch a mano, 20metri di scotta…

Tutte cose mai utilizzate. Nemmeno una volta.

-Ragazzi, perche’ non togliamo tutto dalla macchina visto che stiamo qui a dormire anche questa notte.

-Eh, non e’ una cattiva idea, cosi proviamo l’ebbrezza di avere la macchina leggera, almeno per una volta.

Sleghiamo I cricchetti e togliamo tutto tutto quello che c’e’ sul tetto per spostarlo in tenda.

Teniamo solamente una gomma di scorta che mettiamo nel baule con il krick e la chiave del 17.

Si parte.

Giornata incredibile.

Elefanti a soli 2 metri dalla macchina.

Il bufalo che ci attraversa la strada.

Ippopotami, scimmie e la solita miriade di Zebre e Gnu.

Lo Gnu e’ l’animale piu’ brutto che sia mai stato creato.

Praticamente una mucca magra con le corna e la barba.

Verso tardo pomeriggio, stiamo meditando se tornare al campeggio, quando vediamo un nugolo di pulmini turistici che si dirigono velocemente nella stessa direzione.

Ne fermiamo uno per chiedergli cosa hanno visto.

-Leopard! Leopard! Follow me!

Rendi, alla guida, mette la prima e segue il pulmino.

La strada diventa tortuosa. Stare dietro al pulmino e’ difficile.

Infatti, come non detto, lo perdiamo.

Tra uno scollinamento e l’altro pero’, riusciamo a vedere dove si sono fermate le altre macchine, e cerchiamo di inventarci una strada, tra mille bivi, per raggiungere quel punto.

Siamo quasi arrivati quando, davanti a noi, troviamo una depressione con del fango sotto. Ci fermiamo appena prima a meditare sul da farsi.

-Bisognerebbe scendere a vedere se il fango e’ profondo

-Non si puo’ scendere. Ci Mangiano

-A me non sembra difficile

-Si, ma se rimaniamo incastrati li non ci vede nessuno

In quel momento Rendi deve essersi tappato le orecchie.

Ha messo la marcia e si e’ buttato, a cannone, giù per la discesa.

Prima che potessimo dire o fare qualcosa.

La macchina ha splashato nel fango e le ruote hanno iniziato a girare a vuoto, schizzando terra dappertutto.

-Siamo nella merda

-E ora che cazzo facciamo?

Da quel punto non si vedeva niente e niente e nessuno poteva vederci.

L’unica cosa che avevamo a nostra disposizione era la pala che tenevamo nel baule.

Ovviamente non si poteva uscire dalla macchina e quindi ci mettiamo, a turni, seduti sul finestrino a cercare di spalare via il fango dalle ruote.

Niente da fare.

Proviamo a mettere sotto alle ruote delle bottiglie vuote ma neanche quello serve.

Mentre portiamo avanti ogni assurdo tentativo per liberarci, vediamo spuntare da sopra il muso di un pulmino.

Per fortuna ci vedono.

I turisti a bordo, con le loro macchine fotografiche pronte a immortalare gli animali, decidono che noi siamo decisamente piu interessanti e cominciano a fotografarci

Tempo 10 minuti e arriva la jeep dei rangers.

-Da quanti giorni siete qui?

Noi ci mettiamo a ridere e gli spieghiamo che e’ passata solo una mezzora.

Ci tirano fuori con un cavo d’acciaio, ma non con la jeep……A mano.

Facciamo ancora in tempo a vedere il Leopardo e una leonessa con I piccoli prima di tornare in tenda. Vivi si intende.

Il giorno dopo partiamo presto per raggiungere Nairobi la sera.

Ma prima, la cerimonia della bandiera.

E’ ormai consuetudine lasciare la bandiera Italiana nel punto piu’estremo del viaggio. In questo caso il punto piu’ a sud.

La lasciamo su una collinetta vicino a un villaggio di Masai. A dominare la valle.

Cantiamo l’inno e si riparte.

La sera arriviamo a Nairobi.

Dritti all’aeroporto.

Aereo alle 2.00 con destinazione Istanbul e poi Milano.

Milano-Nairobi!

13.000 km e 12 paesi.

Tutto in un mese.

Ma soprattutto, tutto con Justine.

E’ Fatta!

3 thoughts on “4. Milan to Cape Project: Part I 2009”

  1. Siete dei grandi. E` stato veramente un piacere conoscervi. Mi spiace non aver incontrato il terzo avventuriero. Sara` per la prossima volta che passerete per Citta` del Capo.

  2. MA SIETE FANTASTICI, ho letto e riletto il vostro diario di bordo meraviglioso.
    Che fortunati che siete a fare questi viaggi straordinari
    Sarò sempre vostro Sponsor.
    Mille baci Andrew ti voglio molto bene
    Vannozza

  3. Se leggere di questa esperienza è stato meraviglioso, non oso immaginare quanto lo sia stato viverla!
    Ho letto di voi su Corriere.it e subito mi sono lanciato nel vostro sito. E’ bellissimo: le foto e i racconti ci permettono di condividere con voi quello che avete visto. Ma quello che avete provato, qualsiasi sensazione, sarà solo vostro, per sempre!

    Complimenti, siete stati grandiosi!
    Un 21enne fallen in love with Justine 😛

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Driving around the World with Grandma's 1986 1L Subaru Justy